martes, 31 de julio de 2012

Poemas de Franca Mancinelli

Franca Mancinelli
Nació en 1981 en Fano, donde vive. Se licenció en Letras Modernas con una tesis sobre la poesía de Paolo Volponi. Colabora con textos críticos en varios periódicos literarios. Poemas suyos se han publicado en antologías y revistas. Mala Kruna (Manni, San Cesario di Lecce, 2007) es su primer libro de poesía.


È nata nel 1981 a Fano, dove vive. Si è laureata in Lettere Moderne con una tesi sulla poesia di Paolo Volponi. Collabora con testi critici a vari periodici letterari. Sue poesie sono uscite su  antologie e riviste. Mala kruna (Manni, San Cesario di Lecce, 2007) è il suo primo libro di poesia. 

viernes, 20 de julio de 2012

Poemas de Salvatore Ritrovato



Salvatore Ritrovato (1967) ha pubblicato le raccolte di versi Quanta vita (Book, Ferrara 1997), Via della pesa (Book, Ferrara 2003), Come chi non torna (Raffaelli, Rimini 2008); alcune plaquettes di traduzioni e imitazioni, Asclepiade (Levante, Bari 2000), Prévert (Cartotecnica, Venezia 2002); e il libretto in e-book Dedo, presso i «Quaderni di RebStein XIV, Dicembre 2009, sulla vita di Amedeo Modigliani, messo in musica da Delilah Gutman (Fiera dell’arte contemporanea, Forlì, 23-26 novembre 2007). Ha curato l’antologia tematica di poesia contemporanea Dentro il paesaggio. Poeti e natura (Archinto, Milano 2006) e raccolto saggi e interventi sulla poesia contemporanea in La differenza della poesia (Puntoacapo, Novi Ligure 2009), e Piccole patrie. Il Gargano e altri Sud letterari (Stilo, Bari, 2011). Collabora e scrive di letteratura e cultura contemporanea su giornali e riviste («Atelier», «Clandestino», «incroci», «Poesia», «Semicerchio», «Ali», «Alias», «Corriere del Sud», «l’Attacco» ecc.). Insegna Letteratura Italiana all’Università di Urbino, dove vive.


Traduzioni di Emilio Coco.
I primi quattro testi – Di quelle giornateAmore fa la spolaPiù di malinconia che di paura e Non far caso – sono state pubblicate nella raccolta Via della Pesa (Book Editore, 2003). Le altre sono uscite sulla rivista “Atelier”.


SALVATORE  RITROVATO


De Aquel verano


De aquellos días largos, ¿qué aflora o se revela
qué puede y quiere decir de aquellas inmensas móviles distancias,
un verso lento como éste, en su claridad,
en su lengua que se niega ahora
(se negaba entonces) a pedirte una palabra?

Di quelle giornate


Di quelle giornate lunghe, cosa affiora o si rivela
cosa può e vuole dire, di quelle immense mobili distanze
un verso lento come questo nella sua chiarezza
nella sua lingua che si rifiuta adesso
(si rifiutava allora) di chiederti una parola?



Amor va y viene


Amor va y viene entre la invariada
fuga de una ola y la aventura
de una hora, desgreña los cabellos
los seca, desaparece en un hoyo.
Quizás, aún existe: es una civilización sepultada.
Así yo también me encierro
en la falla de mi sombrilla
que se mueve en la arena come una oscura
inflorescencia rompiendo la visión.
Ella se acerca, consulta el ambulante
cupido de color, y yo los oigo.
Vende viseras, coco, relojes sin
agujas para las horas.
Impugno el precio de esta metamorfosis.


Amore fa la spola


Amore fa la spola fra l’invariata
fuga di un’onda e l’avventura
di un’ora, scarduffa i capelli
li asciuga, s’invola in una buca.
Esiste ancora, forse: è una civiltà sepolta.
Così mi chiudo anch’io
nella faglia del mio ombrellone
mossa sulla sabbia come una cupa
infiorescenza che spezza la visione.
Lei si accosta a consultare l’ambulante
cupìdo di colore, ed io li sento.
Vende visiere, cocco, gli orologi senza
lancette per le ore.
Contesto il prezzo di questa metamorfosi.



Más de melancolia que de miedo


Delirio del mañana, reticencia
de un acontecimiento saludable:
te has dado cuenta de que no puedo
acabar con mi estado temporal
donde es más efímero el sentimento
que el calor de tus manos.
Por ello un día me quedaré para siempre en la cama
pero no habré muerto, habré cambiado sólo aspecto.
Y yo me veré así, llorando,
con tus ojos que miro reírse
nariz contra nariz, y saludar,
y recorrer esta habitación,
     en silencio.
                                                                                                                                                                  

Più di malinconia che di paura


Delirio del domani, reticenza
di un evento salutare:
ti sei accorta che non posso
sconfiggere il mio stato temporale
dove è più effimero il sentimento
del calore delle tue mani.
Perciò un giorno resterò per sempre a letto
ma non sarò morto avrò cambiato solo aspetto.
E io mi guarderò così, piangendo,
con gli occhi tuoi che guardo ridere
naso a naso, e salutare,
e girare questa camera,
         in silenzio.



No hagas caso


No hagas caso a esta córnea transparente:
un ojo es miope por despecho,
no te ve pero te oye;
el otro, que acoge tímido
y curvo en la lente tus palabras
no se impacienta.
La oscuridad crece y envuelve hasta el espero
que difundía detrás de ti
la sombra cálida e inestable de un hurón.
Pronto vuelve la nube que me echó bajo la cama
y la pared atormentada por un enjambre
de insectos podrá desvanecerse,
El gato cae absorto en el sofá.
Sólo un ángel demente podrá raptarte.


Non far caso


Non far caso a questa cornea trasparente:
un occhio è miope per dispetto,
non ti vede ma ti sente;
l’altro, che raccoglie timido
e curvo nella lente le tue parole
non si spazienta.
Il buio cresce e avvolge anche lo specchio
che diffondeva alle tue spalle
l’ombra calda e instabile di un furetto.
Presto torno nella nuvola che mi ha cacciato sotto il letto
e il muro tormentato da un nugolo
di insetti potrà svanire.
Il gatto casca assorto sul divano.
Solo un angelo demente ti potrà rapire.



Sobre una vieja fotografía


¿Quién de vosotros me mira en esta cartolina?
¿Qué murmullo ha desaparecido de la pantalla
muda de esta kodak?
Treinta años y una palabra para tener
aquellas pupilas, filmar el modo
justo que ellas siguieron en una circunstancia
su consentimiento fulminante
el instante de maravilla, no basta.
Iré a vivir un día con vosotros
donde no fluye savia, no rezuma
espíritu de hogar y la piedad se ofusca.
Y todo acabará, en un ostensorio cincelado
esmeradamente o en un cáliz
levantado en el altar; terminare el vaivén
entre vosotros y yo que me esperáis
allí abajo, en las escaleras, después de una boda.


Su una vecchia fotografia


Chi mi fissa di voi in questa lucida carta?
Che brusio è scomparso dallo schermo
muto di questa kodak?
Trent’anni e una parola per tenere
quelle pupille, filmarne il verso
giusto che esse seguirono in un frangente
il loro consenso fulmineo
l’attimo di meraviglia, non basta.
Verrò ad abitare un giorno con voi
dove non scorre linfa, non trasuda
spirito di focolare e pietà s’appanna.
Pure finirà tutto, in un ostensorio cesellato
accuratamente, o in un calice
sollevato sull’altare; cesserà l’andirivieni
fra me e voi che mi aspettate
laggiù, sulle scale, dopo un matrimonio.



Elegía pequeña


Cada día es el primero y el último
si atrás cesa de existir
espeso y sólido tu futuro.
Despego del álbum de fotos fragmentos
algunos nítidos otros desteñidos:
temes sonreír y desde hace tiempo dejas
crujiendo como una sombra ligera
e impertinente este valle.
¿Dónde vas hoy? Da que hablar
la pareja que vive separada, a cada cual
le importa su mitad de comodidad
privada, siempre en tregua,
¿y nosotros que sentimos el deseo
de estar juntos también en la oscuridad?
Donde no cuenta nada quizás
ni este muro de gente
que desplaza tus pequeños pasos
y desaparece después de una calle,
come el árbol que pierde una flor,
una flor que deja el árbol.


Elegia piccola


Ogni giorno è il primo e l’ultimo
se dietro cessa di esistere
fitto e solido il tuo futuro.
Stacco dall’album delle foto schegge
alcune limpide altre sbiadite:
temi di sorridere e da tempo lasci
frusciando come un’ombra leggera
e impertinente questa valle.
Dove vai oggi? Fa notizia
la coppia che vive scissa, ognuno
tiene alla sua metà di agio
privato, sempre in tregua,
e noi che abbiamo il desiderio
di stare insieme anche nel buio?
Dove non conta niente forse
neanche questo muro di gente
che sposta i tuoi piccoli passi
e scompare dopo una calle,
come l’albero che perde un fiore,
un fiore che lascia l’albero.




Esta extraña paz


De la boca de mi vecino sale una corriente
cálida y fuerte, revela cosas que no conosco.
Existe un sitio, y allá grandes ciudades
maravillosas, sin luz ni agua,
donde las moscas viven mejor que los perros
dice y estos mejor que los hombres:
montones de basura dominan los edificios
los coches tropiezan en carcasas de chapas
y osamentas, cada cual va donde le da la gana.
Desde hace tiempo no existen calles.

Tiene un músculo sencillo y honesto:
se llama corazón, ama los espaguetis
y el buen vino, la ociosidad y el trabajo,
y alguna vez la televisión.
Pero sabes, cuando se vive con los muertos descubres
que al menos un día al año
(pero no todos los años) te acogen
y tienes que aprovechar, si no te mueres
ese día, y nadie te espera, te quedas solo.
Te conviene, si viene, no perderlo.
Para mí aquel día ha existido.
De la ventanilla bajada ahora un viento se levanta
frío, voraz, y las palabras arrancadas
de la cara, y las últimas de raíz.
Rompe mi silencio. Esta extraña paz.


Questa strana pace


Dalla bocca del mio vicino esce uno spiffero
caldo e forte rivela cose che non conosco.
Esiste un posto, e là grandi città
meravigliose, senza luce e acqua,
dove le mosche vivono meglio dei cani
dice e questi meglio degli uomini:
cataste d’immondizia sovrastano i palazzi
le macchine inciampano in carcasse di lamiere
e animali, ognuno va dove gli pare.
Da tempo non esistono strade.

Ha un muscolo semplice e onesto:
si chiama cuore, ama gli spaghetti
e il vino buono, l’ozio e il lavoro,
e qualche volta la televisione.
Ma sai quando si vive con i morti scopri
che almeno un giorno all’anno
(però non tutti gli anni) ti accolgono
e devi approfittarne, sennò muori
quel giorno, e nessuno ti aspetta, resti solo.
Ti conviene, se viene, non perderlo.
Per me quel giorno c’è stato.

Dal finestrino abbassato ora un vento si alza
freddo, vorace, e le parole strappa
dalla faccia, e le ultime alla radice.
Squarcia il mio silenzio. Questa strana pace.



Soledades


Va así. Que un día como tantos
vuelves a casa, del trabajo, y las paredes,
el techo, cada habitación, las viejas
cortinas, las chimeneas, la sombra incierta
del ficus en el pasillo, la ventana
por la que entra parte del mundo
o lo que sobra, la puerta
que lleva fuera y dentro
al entrar y al salir a cualquier sitio,
es un montón de escombros.
Vas a la plaza, coges un atajo
en vez de la calle, camina
que caminarás, es otra ciudad,
el mismo soplo de viento o contra viento,
y de polvo, pero no la plaza.
También doblar entre la gente
con el paso habitual, innatural
recoger un perfume en la calle
desierta o en una calleja que sube
hacia el viejo centro, las paredes de la casa
de esta habitación, este nombre libero,
es un montón de escombros.
Ahora huye, busca otro pueblo
más vasto. El camino no es cómodo
pero largo y basta un pasaje
Cerrar los ojos, contener la respiración
chisss… bajar contento
delante del reportero. Dice que sí
el espejo oscuro como un pozo
que tienes en los ojos, habla
siempre de muertos: nadie ha sacado
el billete. Tampoco tú.
Dicen todos que ha ido así.


Solitudini


Va così. Che un giorno come tanti
torni a casa, dal lavoro, e le pareti
il soffitto, ogni stanza, le vecchie
tende, le ciminiere, l’ombra incerta
del ficus, nel corridoio, la finestra
da cui entra parte di mondo
o quel che avanza, la porta
che porta fuori e dentro
ovunque entriamo e usciamo
altrove, è un mucchio di macerie.
Scendi in piazza, scegli la scorciatoia
invece della strada, cammina
cammina, è un’altra città,
stesso soffiare di vento o controvento,
e di polvere, ma non la piazza.
Anche svoltare in fra la gente
con il passo solito, innaturale
raccogliere un profumo nella via
deserta o in un vicolo che risale
il vecchio centro, i muri di casa,
di questa stanza, questo nome leggero,
è un mucchio di macerie.
Ora scappa, cerca un altro paese
più vasto. La via non è comoda
ma lunga, e basta un passaggio,
chiudere gli occhi, tenere il respiro
ssst… scendere contento
davanti al fotoreporter. Dice sì
lo specchio buio come un pozzo
che hai negli occhi, racconta
sempre di morti: nessuno ha staccato
il biglietto. Neanche tu.
Dicono tutti che è andata così.



El 11 setiembre vino cinco años después.

Sentado en un sillón, frente al televisor.
Sentado escuchando las palabras
de los últimos testigos que han vuelto
a buscar al ángel que los ha salvado.
Sentado solo, esperando. Sin pruebas.

Hoy parece que no hay aviones que caen sobre las casas.
La asistenta mira estupefacta las dos torres que vuelven
cinco años después a brillar en el cuadro
y caen de nuevo, no es un error
le explico, no es una película americana,
no ha ocurrido hoy. No sabía nada.

La tarde, el día que había cambiado el mundo
me derrumbo en el sillón sin aliento.
tarde acaso, pero lo he entendido sólo
cinco años después.
Fue una tremenda cuestión occidental
el día más difícil para todos:
convencerse de que algo cambiaría
después. Tenerle miedo, por ejemplo,
al mundo, cada día.
Y contarlo en televisión.
Creer en los controles capilares,
en la paz, en las salas de espera.
En un dios escondido y lejano.
Esperar el estruendo.

Un mes después de aquel 11 de setiembre yo decía que sí.
Casarse en febrero. Un mes ideal
frío y corto. Pasaría
desapercibido en Venecia sin carnaval.
Sí. Tener una familia acogedora.
Niños, hipoteca, cuenta única.
El seguro sobre la vida. Una libera
prisa cada mañana, la voz ronca.
Y luego los sermones de los pedagogos
y de los pediatras, la receta de los dentistas.
Y un día tendré una urna más ligera.
Ahora es fácil acabar en cenizas y escombros.
Tiemblo a la idea de bajar escaleras
y escaleras antes de disolverme ese día
come aquel 11 setiembre, en el trabajo o en las vacaciones.
Quedar en la grieta de un edificio
de vidrio y cartón piedra que se desmorona,
quemado, pulverizado.
Como un hueco de aire, ávida herrumbre.
Frente a una mínima ciudad
que busca otro muro más alto
protegido, y espolea, y vuela
donde los aviones no pueden caer.
No deben. Pero no es fácil.



L’11 settembre venne cinque anni dopo.

Seduto in poltrona, davanti al televisore.
Seduto ad ascoltare le parole
degli ultimi testimoni tornati
a cercare l’angelo che li ha salvati.
Seduto solo, a sperare. Senza prove.

Oggi, pare, non ci sono aerei che cadono sulle case.
La colf guarda stupita le due torri che tornano
cinque anni dopo a brillare nel quadro
e ricadono, non è un errore
le spiego, non è un film americano,
non è successo oggi. Non ne sapeva niente.

La sera il giorno che aveva cambiato il mondo
crollo sulla poltrona senza fiato.
Tardi forse, ma l’ho capito solamente
cinque anni dopo.
Fu una tremenda questione occidentale
il giorno più difficile per tutti:
convincersi che qualcosa sarebbe cambiato
dopo. Avere paura, per esempio,
del mondo, ogni giorno.
E spifferarlo in televisione.
Credere nei controlli capillari,
nella pace, nelle sale d’aspetto.
In un dio nascosto e lontano.
Aspettare il boato.

Io un mese dopo quell’11 settembre dicevo .
Sposarsi a febbraio. Un mese ideale
freddo e breve. Resterebbe
inosservato a Venezia senza carnevale.
. Avere una famiglia ospitale.
Bambini, mutuo, conto unico.
L’assicurazione sulla vita. Una leggera
fretta ogni mattina, la voce rauca.
E poi le prediche dei pedagogisti
e dei pediatri, la ricetta dei dentisti.
E un giorno avrò un’urna più leggera.
Ormai è facile finire in cenere e macerie.
Tremo all’idea di scendere scale
e scale prima di dissolvermi quel giorno
come quell’11 settembre, al lavoro o in ferie.
Restare nell’intercapedine di un palazzo
di vetro e cartongesso che si sbriciola
bruciato, vaporizzato.
Come un vano d’aria, avida ruggine.
Davanti a uno straccio di città
che cerca un altro muro più alto
protetto, e sprona, e vola
dove gli aerei non possono cadere.
Non devono. Ma non è facile.


miércoles, 18 de julio de 2012

Kloaka-(30 años) forever!




Kloaka-(30 años) forever!



Por Mario Wong



« …la leona ha parido en medio de la calle, y
Las tumbas se han abierto y vomitado a
Sus difuntos. Guerreros feroces combaten
Entre las nubes en filas/
(…) »
J.A. MAZZOTTI  

« …dans le cercle vertigineux de l’éternel retour l’image meurt inmédiatement. »
                                                                                                      D. CAMPANA (*)


In memorian Ricardo Quesada


Los poetas modernos han tenido, desde siempre, una actitud de vanguardia; ha sido una cuestión vital para ellos, como lo es la creación poética misma. « Être toujours moderne! », escribiría Arthur Rimbaud. Una actitud vanguardista frente a la vida misma; en ésto, en la poesía peruana -más allá de las diferencias generacionales- hay ciertas constantes (sobretodo, en los de las década del 70-80), como si el mito de la modernidad literaria, en sus expresiones poéticas, se hubiese prolongado hasta sus últimos estertores. En los 80-90s otro es el panorama.
     La crisis sistémica y sus manifestaciones violentistas, a nivel político, con la irrupción de SL, el MRTA y el inicio de la « guerra sucia » (tal vez, al comienzo de su accionar permanecía, aún, la « ilusión heroica » del cambio revolucionario), fue como un baldazo de agua fría para las nuevas hornadas de poetas. El fenómeno es complejo, atrayente, como que rechaza las explicaciones determinísticas, pero no voy ha ocuparme de ésto en este artículo, que es una suerte de homenaje a Kloaka.
                El movimiento artistico Kloaka, que surgiese a comienzos de los 80s, asume, de alguna forma, esa actitud avantgardiste; pero, en su meteórica existencia, en la búsqueda expresiva de la beauté sauvage y espontánea, se manifiestan ya, como si de el canto del cisne se tratase, el fin de una generación que todavía creía en el mito de la modernidad; sin embargo, pienso, es la postura « anarquista-underground » la que prima (ahí están el performance en « La Catedral », un bar de aserrín y colillas de la Pza. Unión, con travestis, Kola-rock, Durazno Sangrando, etc.; el recital en el auditorio de Miraflores; las lecturas y volanteos, se me aparece el poeta R. Q., repartiendo sus fanzines en el Bd. Quilca, con el grupo Del Pueblo, y toda su iconografía). Y ahí, en ese  momento, en la desestructuración y el desarraigo, y en el desencanto generacional, empiezan ya a manifestarse otras cosas a nivel de la creación poética. Intentaré precisar esto.
     Ya de por si la situación -de caos, de violencia política, de crisis económica y miseria social por la que atravesaba el país (sin encontrar una salida)- era « cloaca »; como si se hubiesen desembocado los jínetes del Apocalipsis. Los miembros del movimiento -José A. Velarde, Edián Novoa, D. de Ramos, Mary Soto, Roger Santivañez, J.A. Mazzotti, Mariela Dreyfus, Guillermo Gutiérrez, Julio Heredia, E. Polanco, D. Ruiz Rosas-  la asumían como experiencia vital creativa. Creo que lo que atraía del arte de las vanguardias a Kloaka (dadaismo, surrealismo, nadaismo y otros movimientos « infrarrealistas » o « real-visceralistas » latinoamericanos), en sus expresiones grupales (una suerte de « comunidad poética imaginada », libre) y creativas eran las posibilidades rupturistas y/o de relativización y parodia del sistema de representación político-social, en general, y de la instucionalidad artístico-literaria, en forma más específica. Esto, en su crítica de la burocratización partidaria (sobretodo, de las organizaciones de la izquierda peruana) y en la postura « heterodoxa » de rúptura artística y de desacralización de la obra, en lo que correspondía al canon artístico-literario (del arte como institución en si, y del lugar o lugares que ocupa la obra artístico-literaria), aún podía aparecer, e interpretarse, como manifestaciones « post-mayo 68 ». Se ubica para mí, en forma más precisa, entre dos periodos.
     Con la crisis  de representación política se asistió a una pérdida de sentido, a una desvalorización de todos los valores que habían regido la vida social. Así, el caos y la destrucción violentista devinieron una fatalidad; tensado por fuerzas extremas, en un conflicto que no tenía tregua ni solución mediata, el país se incendió. Los artístas y poetas contribuyeron, de una forma u otra (hasta en la aparente pasividad de algunos), a que el fuego se expandiese, como si estuviesen fascinados por la desaparición y la nada. El néant éternel (1)  como forma extrema del nihilismo, según Nietzsche, ejerció su atracción fatal; era nuestro destino, un deber fatal del arte y la poesía, acorde con el espíritu de negación. Paradojicamente, ahí, al borde del abismo (en que aparecen las visiones más terribles de la realidad) -con esa vocación párricida, iconoclasta que caracteriza la estética vanguardista y neovanguardista-, se manifiesta (en un exceso vital) la creación artística y literaria.
     Aparece el carácter catastrófico del capitalismo periférico -en sus manifestaciones tardías y/o « postmodernas »- en todas sus contradicciones; la recurrencia destructiva en toda las pulsiones mortíferas que lo atraviesan; el fin del mito del progreso sin límites. Ahí está el conflicto entre lo racional y lo arcaíco; pero lo originario, lo arcaíco, lo « regresivo » es inherente a dicho proceso, pone en cuestión (por la presencia de lo mítico) la separación racionalista del objeto y del sujeto (de la teoría kantiana del conocimiento y el gusto estético); y hace que afloren las fuerzas más irracionales y represivas que actúan, estas últimas, en lo que someten (a la nación quechua sumergida, dominada, acallada, por la que luchase el escritor J.M. Arguedas). Memoria & olvido: « recuerdo que no me acuerdo de nada y para mí, sin embargo, ese es el recuerdo más fuerte » (2).
     La descomposición de la ciudades y del país todo se hallaba en estado muy avanzado; el conflicto, en su grado extremo, más allá de las heridas profundas que se abrían (y de sus llagas purulentas) producía una tensión eléctrica, explosiva, rupturista y creativa en el arte y la poesía, en sus inicios. Cito: « Escalera del infierno; bajar en las noches por el jirón Belén y el bulevar Quilca es descender al subsuelo –VISITE NUESTROS SUBTERRÁNEOS. Profetas de la violencia; extremismo; Lucifer! Lucifer!, se ha metido en la droga, se ha metido en el trago, Lucifer! El Frontón (300 muertos para erigir la Jerusalém Celeste), Lurigancho, Santa Bárbara; « posesiva de mí, no entiendes de contradicciones ». Coche bomba! La Berna y el bonzo (el enmudecimiento total, cuando vio en la pantalla de la TV que un monje budista, en el Vietnam, rociaba su cuerpo con gasolina y se prendía fuego)…
     « Los poetas de Kloaka y gente del grupo Del Pueblo, al costado del cine-teatro Colón, leían poemas, tocaban música rock y repartían volantes. Palomeque, el ex-mozo de Las Vitaminas se hallaba parado en la puerta de un callejón, rata mojada bajo el cielo gris de Lima; pastelero spídico, muerto con el último cigarrillo entre los labios –« Si quieren matarme, mátenme! » Le dispararon a quemarropa… » (3), escribiría yo ya en París, años después, para ficcionalizar lo que se vivía, en una ciudad como Lima, en esa época. Recuerdo (ahora que he acabado de transcribir partes de este texto), me viene a la mente la noche que lo lei en « El Averno », a mi regreso al Perú, hace más de dos años; me lo pidieron Piero Bustos, de Del Pueblo,  y R. Q (además de él leyeron esa noche, también, el poeta dandy Frido Martin, D. de Ramos, Mary Soto y otros nuevos jóvenes poétas), quien estuvo muy próximo de ese grupo y del Movimiento Kloaka en esos tiempos.
     Se trataba de los efectos de la vida misma, en la Lima de los 80s; de la « Vida Artística » en sus calles y bares que -como sostiene el escritor argentino Alan Pauls- « es un principio de inmanencia, una especie de campo informe antijerárquico, sin más allá, que lo procesa todo –política, sexualidad, socialidad, territorio- y se define  menos por lo que son las cosas que por lo que pueden, menos por valores que por potencias. » (4). Y es ahí, donde aparecía, en ese entonces, toda la vitalidad de los que pertenecían a este movimiento; y me preguntaba hasta dónde eran capaces de ir, cuál era el límite de su potencialidad. El arte siempre es -como escribiesen G. Deleuze y F. Guattari (5)- una cuestión vital de flujos deseantes, desterritorializaciones, territorializaciones y líneas de fuga para intentar ir más allá, siempre más allá (aunque se nos vaya la vida en ello, y pienso en este instante en el poeta R. Q.), limando los muros del orden establecido; cuestionando los gustos estéticos tradicionales y hechando a tierra los prejuicios de la moral impuesta. Pienso, y lo puedo decir ahora, para concluir, que en el movimiento Kloaka la pasión política y la estética seguían articuladas, aún, en un modo de existir, en una inmanencia vital (ahí estan los manifiestos y las entrevistas). Agrego dos acápites:

1.- Desde hace buen tiempo el stablishment cultural limeño intenta, por todas las formas, « invisibilizar » lo que fue el Movimiento Kloaka; tratan de negar su importancia (más allá de la obra literaria existente de quienes pertenencieron a él), porque escapaba (o no se « ajusta ») a una cierta « tradición literaria ». Este es un largo y paciente trabajo de olvido y oscurecimiento. Por mencionar, sólo dos ejemplos: Me acuerdo ahora que, hace ya varios años, cuando estuvo por París Abelardo Sánchez León, asistí a una exposición sobre la poesía, que hizo en la cava de un bar del Barrio Latino, y en ella para nada hizo mención de alguno de los miembros de este grupo (todo se quedaba en Hora Zero, como que él pertenece a la « generación del 70 »; intervine para señalarle su « olvido » y, agregé, que el poeta Domingo de Ramos, con Ósmosis había merecido recientemente el Cope de Plata); otro « olvido », lean la introducción de la antología de los poetas del grupo Neón, escrita por dos de sus miembros; además del olvido, estan los lugares comunes y complacencias.

2.- Me entero, hace unos pocos días, y esto es mucho más grave (en cuanto concierne a un acto de censura ó de « autocensura »), que por presiones mediáticas de Rafael Rey y José Barba, conotados « políticos profesionales » de derecha (uno miembro del Opus Dei y el otro, transfuga ex-aprista), el responsable cultural de Petroperú tuvo que suspender un acto programado en homenaje por los 30 años de la aparición de ese cometa ebrio que fue Kloaka. Este acto de censura debe ser condenado, sin duda alguna. Expreso aqui mi solidaridad con quienes fuesen miembros de este movimento.



Paris, 5 de julio de 2012


(*) Escrito en un cuaderno de fecha incierta (anterior a 1916) por Dino Campana, quizás el más grande poeta italiano del siglo XX (in : 0pere e Contributi, tome II, Florence, 1973, p.1;  Cit. de G. Agamben, Image et mémoire: Écrits sur l’image, la danse et le cinéma; en el ensayo « L’image inmémoriale », Éd. Desclée de Brouwer, París, 2004, p. 97).



Notas :
(1) Ver G. Agamben, L’Homme sans contenu, Circe, Clamency, 1996, p. 117.
(2) D. Campana, en el cuaderno señalado, escribe: «… ce souvenir qui ne se souvient de rien est le souvenir le plus fort. » (Cit. por G. Agamben, Image et mémoire, p. 110; la alteración del texto es expresa).
(3) M. Wong, El testamento de la tormenta, Huerga y Fierro Eds., Madrid, 1997, pp. 11-12.
(4) A. Pauls, « La solución Bolaño »; in: Edmundo F. Paz Soldán y Gustavo Faverón Patriau, Bolaño Salvaje, Ed. Candaya S.L., Barcelona, 2008, p. 329.
(5) Ver de ambos Capitalisme et schizophrénie 1. L’Anti-Oedipe, Éds. de Minuit, París, 1972/1973 y Capitalisme et schizophénie 2. Mille Plateaux, Éds. de Minuit, París, 1980.