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domingo, 15 de abril de 2018

Il lato destro dell'armadio de Canio Mancuso


Il lato destro dell’armadio

de

Canio Mancuso

Giuliano Ladolfi Editore, Borgomanero, Italia, 2018



I collect your stories,
stones for my pockets 
to hold me down
when the root goes

Karen Press




Ai miei genitori,
al debito non pagato


Il nome


Il tuo nome fai fatica a starci dentro.
Vedi la mezza luna quasi piena  
della lettera con cui comincia:
ti illudi di riposarci la schiena
tanto è rotonda e morbida la sua promessa.
Invece è la consonante
inopportuna di Come? Cosa?
Quando senti pronunciare il tuo nome
riconosci dall’abbrivio spaventoso
l’invito della guardia di confine
a dichiararle qualcosa.
Giusto il tuo nome;
l’espressione eretica delle impiegate
che se lo passano rimpicciolito
di bocca in bocca per credere a una parola.
Ti scrutano in agguato tra le ciglia
ti chiedono di esibire le prove
della tua inconsistenza terrena.
Le prove sigillate nel nome.
Non ci stai dentro tutto nel tuo nome:
spunta sempre un pezzetto
un piede che dondola dal bordo
ma non è un’amàca non ci puoi stare comodo
rimanere in silenzio farti aspettare:
è un punteruolo per entrarti nel fianco
grattare la vernice - la chiamano così -
dell’essere-apparire
raschiare quel po’ di colore
che somiglia a un sorriso
ed è un suono di due sillabe
che dà il via allo scavo:
chi ti chiama per nome
vuole impararti saperti controvoglia
occuparti un centimetro alla volta
o peggio tutto insieme da radice a radice
da quella dei capelli a quella dei respiri.
Chi ti nomina ti ribalta
senza chiederti il permesso
e tu speri che il tuo nome
ti nasconda in un cappuccio
a quelli che hai davanti
e intorno tutti con lo stesso nome
diverso dal tuo così disabitato
che suona come quello di un indiano pellerossa
(sai gli uomini che si accigliano e sono nuvole
o fanno la guerra e sono lampi notturni
o falconi insonni: il nome personale
a ciascuno il suo
fatto di un pane che non si condivide.)
Ti capita di morire
e allora il nome ti si scioglie addosso
sbrilluccica come un barattolo
legato alla marmitta di un’auto senza sposo
e tu rimani lì da dove sei partito.
Lo incidono sul legno sulla targa
che illumina il tuo vuoto
e tu dall’uovo in cui sei rientrato
con l’anima mischiata alle frattaglie
da dietro al guscio in cui te ne stai composto
nel tuo corpo nuovo
con le tue unghie liquide
non riesci a cancellarlo.
Il nome che continua a schiarirsi la voce
sotto la luna e sotto il sole
anche se ti ha dimenticato.


Appendice al discorso del nome


C’è anche il nome che credi di abitare
finché non lo senti uscire da una bocca
sformato dalla pronuncia chiara
confusa cambia poco: non rispondi
(ce l’hanno con tuo cugino portatore disinvolto
del nome nonnesco di seconda mano?).
Il nome illusorio numerato soffio di una voce
che non riconosci si rivoltola
con te nei sogni voce di sabbia
che ti chiede un bacio tu non puoi rispondere.
Non è lo stesso nome detto
tre volte da chi sta morendo prima di te
tuo padre che ti chiama e ti dice
parole misteriose non ne capisci una:
non sai se le strascica la luce intatta
del desiderio di portarti a Parigi  
le carezze sconosciute del mondo
un rimprovero l’ultimo
un po’ più rumoroso allegro
come il corpo che impara a non esserci.
Ogni tanto le riascolti
per indovinare il senso del discorso
ma il nome che ti ha dato tuo padre
un regalo sbagliato un’impronta sulla faccia
è l’unica condanna che comprendi.


Consulenti


Le ottantenni che arrancano col carrello
della spesa e si arrampicano sui marciapiedi
con l’anima aggrappata al fiato
che le zavorra al piano orbitale
un telecomando che le trascina
dalla casa al mercato dal mercato alla casa
sembrano sgretolarsi a ogni colpo dei tacchi
sul basolato scelto dal sindaco.
Dici ecco ora cascano e si sfarinano
senza un lamento o fanno in tempo
a invocare la Madonna come mio nonno
trafitto da un ferro da materasso.
Ma lui era un ragazzo e poteva morire.
Loro invece no non moriranno
lo hanno giurato chiudendo la porta
prima di uscire all’avventura
tra occhiate e insulti sparati a salve
da figlientrocchia di tredici anni.
Se per sbaglio gli passi accanto
ti danno consigli sugli investimenti
la crisi economica è un trucco di Giuda
per portare al governo i falsi invalidi
la psicologia è roba da scemi
col sesso avvizzito tra le cosce
ascolta loro che sanno a memoria
le parole che bruciano il petto ai giovani
come te nati per la guerra che si combatte
nei condomini spaventosi di silenzi
e di abbai nel veleno delle anticamere
degli uffici ministeriali. O sei forse disoccupato?
Non credere ai venditori di tappeti a reazione
a meno che non facciano buoni prezzi:
quello che hanno comprato il mese scorso
non si alzava più di un metro da terra
e poi ricadeva nella polvere.
Dai retta a loro che hanno vissuto
quasi un secolo quello passato
rotolato a valle con le ossa dei martiri
e dei mendicanti le frasi mischiate
di oro e merda che uccidono i giudici
più del tritolo - lo ha scritto un giornale
non ricordano il nome.
Le ascolti nei loro salmi furiosi
che chiedono di reggersi al tuo braccio
le ascolti le detesti perché sono nate
prima del ’49 l’anno di tua madre
che non dava consigli lungo la strada
per evitare lo sporco dei cani
non portava mai il carrello appresso
ed è finita dentro una buca
nella voragine di una stregoneria
succhiata giù da un magnete di cristallo.
Non fai in tempo a dire alle vecchie
che non ti chiamino più ragazzo ché hai
i tuoi anni e molti li hai chiesti a Dio
per non imboccare la strada del sole
intanto quelle lasciano la muta
delle lucertole ringiovaniscono
all’improvviso sgusciano via rapidissime
si risposeranno torneranno vedove
chissà dove in quale universo.
Lì accanto a te resta appena un’orma  
sul pavimento una pozzanghera
di giudizi scontati sdentati immortali
come un raccapriccio che insanguina l’erba. 



Il lato destro dell’armadio


Nessuna devozione per gli oggetti
che non ci appartengono più
la memoria sta in piedi da sola.
Bisogna alleggerire lo scomparto
del marito onorare la vedovanza
cancellando le impronte superflue
coi segni dei polpastrelli e il sudore
nelle scarpe. Butterà le giacche
e le grucce-imitazioni di clavicole.
Non soffiare via la forfora dal pettine
è ridicolo come il pensiero
delle mani nei guanti.
Si accorge che le immagini svaporano:
conserverà le fotografie.
Inizia a parlare con un volto
si vergogna: quei ritratti disonesti
nella loro confidenza
gli occhi del marito
in posa per il fotografo
scheggiano appena il vetro.
La memoria sta in piedi da sola
nella foto è lei a farsi da parte.


Promemoria del poeta colombiano


Maledette le metafore e le similitudini
maledetto chi me le ha soffiate
nell’orecchio da bambino.
Maledetti i gigli e la loro bianchezza
che nessuno schizzo di liquame
può macchiare. Avevo otto anni  
una mia compagna di scuola
più bruna di me aveva fatto
una poesia: paragonava l’anima
di Gesù Cristo a un giglio purissimo.
Giuro quella metafora scialba
ha cominciato a lavorarmi dentro
fibra dopo fibra, tèndine dopo tèndine
mi ha aperto uno squarcio di invidia
inimmaginabile. In una settimana  
ho riempito sei quaderni
di poesie religiose: non ce n’era una
che fosse un po’ meno scialba.
Chi ti rovina è la maestra che ti ascolta
e ti chiede di “coltivare il dono”
che nessuno ti ha dato. Poi sigilla
il giudizio con la firma sulla pagella
perché qualcuno ci creda davvero
che sei un poeta alto un metro e trentotto.
Per nove minuti ci hai creduto anche tu.
Da qualche anno vado in giro
a leggere i miei versi: suonano
sempre fragili e ammaccati.
Li nascondo dietro un arabesco
spettacoli di magia prevedibili.
Provo a distrarre gli sguardi.
La mia è un’ossessione stanca
che toglie il sonno e non dà niente in cambio
è un privilegio da accattoni
ma continuo a cercare un giglio impuro tra i sassi. 

martes, 4 de octubre de 2016

Fiammiferi: poemas de Canio Mancuso


Breve selección de poemas de Fiammiferi, del poeta italiano Canio Mancuso



La strada

Ti parlavo ma tu non mi ascoltavi
lo sguardo perso nella strada dove
tre scugnizzi in fuga si sfidavano
correndo tra le auto e gli abbai
rugginosi incazzati dei cani.
Li guardavi sparire nella sera
e avevi sulla fronte un ghirigoro
inquieto che screpolava
appena il tuo pudore.
Ho visto nel lampo di quella smorfia
il segno di un rimpianto
come un sigillo silenzioso.
L’ho visto oppure ho voluto vederlo
però qualche volta un figlio
magari stortarolo e disonesto
lo hai desiderato davvero.



Fiammiferi

Mio padre fabbricava
navi di fiammiferi
navi con troppe vele
e con troppi cannoni
belle perché non erano
metafora di niente.
Stava seduto a terra
con il broncio sospeso
sul docile cantiere
della sua arte sghemba
massacrando fiammiferi
che asciugava e incollava
a uno scheletro d’aria.
Come era contento
di soffiare il respiro
negli ossi di una nave
priva di oceani da immaginare.



Nidi

Mio padre distratto dalle rondini
smarrisce le carte del congedo.
Conosce la morte degli animali
così esatta e disinvolta
ma ha dimenticato la sua
sul comodino coi documenti.
Mio padre chiedeva una canzone allegra
e ha avuto un silenzio imperfetto:
ero io nascosto in una stanza
tra gli a capo sonnolenti dei libri.
Voleva un figlio dallo sguardo aperto
un figlio maschio che dormisse poco
e ne ha avuto uno che rimane sveglio
per godersi il riposo degli inconcludenti.
Sulla gigantografia del santo
che azzittiva la vallata
le rondini costruivano i nidi.
Mio padre seduto su una panchina
me li mostrò un pomeriggio
di settembre quei nidi
che io non avevo mai guardato.



Corso Garibaldi

Che gittata ha il domani
nei discorsi dei vecchi:
la politica, le armi
i destini del mondo
com’è bello fottere
e non comandare.
I vecchi camminano
con le mani sulla schiena
per tenerle lontane
dallo sfiato del sesso
e poi li senti dire
di una bella che passa:
Ciunna maledetta…
nel cuore ancora il fischio
dei sensi contromano.



Ascolto

Vuoi ancora parlarmi di Dio
con tutta la tua stanchezza insonne,
intrecci parole e melodie che non ricordi
sgrani il solito rosario
di nomi, i miei amici
che non hanno smarrito la strada
e hanno pure preso la laurea.
Non è un problema di fede:
crederei anche solo
per farti compagnia
ma basta un soffio di inquietudine
a prosciugare le vene a un abbraccio,
che sia per te o per Cristo non importa.
Ripeto, non c’entrano la salvezza
la redenzione, il conto da saldare
al camiciaio che rinvia la consegna
(sai che rispetto chi lavora piano).
Non dimentico i miracoli dell’acqua
che mi facevi bere per ripulire
le viscere e i pensieri.
È che mi manca il respiro pietoso
di chi ama il sentiero in ogni orma –
non dico il sollievo dell’ascolto –
e non ho mai imparato la bellezza
del tuo paese chiaro, necessario
dove il buio è il peccato più grande.